Edizioni delle donne
Roma 1974 - Milano 1982
Roma, Teatro della Maddalena, riunioni al teatro della Maddalena,
gruppo femminista in crescita, era il '74. Cominciò a circolare l'idea di
una scrittura femminile. Per fortuna a quei tempi non era ancora invalso
l'uso dell'orribile espressione "al femminile", che personalmente trovo
disgustosa: come se si volesse femminilizzare il maschile. Non c'è da femminilizzare
proprio niente:
sono due cose diverse.
Allora si incominciò a parlare di quest'idea
con Manuela Fraire, Elisabetta Rasy e Anne Marie Boetti. Perché proprio
noi quattro? Inizialmente contattammo anche altre donne, ad esempio Letizia
Paolozzi, che però in quel momento stava seguendo altre cose. Ci fu un lavoro
preparatorio abbastanza lungo e venne valutata la collaborazione anche di
altre persone. Noi stesse non avevamo esperienza in questo campo. Per noi
un libro era allora soltanto l'oggetto finale. Insomma partivamo dal prodotto
e inizialmente non avevamo nessuna idea di tutto il lavoro che comportava
fabbricarlo, un libro. Lo vedevamo come lo sbocco naturale di un lavoro
delle donne che intanto procedeva anche col teatro. Erano anni complicati,
con una politica ruggente.
Adesso sono passati più di vent'anni ed è difficile
ricostruire il processo che fece sì che ci gettassimo in quest'avventura
senza sapere assolutamente nulla di editoria sul piano pratico, quotidiano,
e in più con un pubblico di donne al quale in qualche modo dedicarsi. Però
avevamo visto che in Francia funzionavano già da qualche tempo Les
editions des femmes. Così ci parve che potesse essere l'idea giusta.
Avevamo però dimenticato che la cultura francese ha ben altre basi di quella
italiana. C'è una tradizione letteraria, anche femminile, che in Italia
manca. Così ci scontrammo con una quantità di problemi: soprattutto finanziari,
ma anche ideologici e letterari.
Dal catalogo si vede che i primi libri
sono molto ideologici, libri di movimento con cui siamo andate un po' allo
sbaraglio. Altri libri, come La casalinga di Cristo, inchiesta
sulle suore in Italia, invece furono sottovalutati dal movimento
ed è un peccato perché proprio questo era una ricerca molto bella, che ancora
oggi mi pare d'attualità. Insomma i primi libri pubblicati erano quelli
dell'impegno politico, che avevano anche visivamente un taglio anticonformista.
I libri erano suddivisi non in collane - non c'erano
collane - ma per raggruppamenti tematici. Le scrittrici contemporanee…..
Uno dei libri più belli che abbiamo pubblicato è Laure, storia di
una ragazzina e altri scritti di Colette Peignot, scrittrice del
periodo surrealista, amica di Bataille, che è stata una delle grandi donne
della cultura francese. Poi Gayl Jones (Assassina), era il
numero 22 del catalogo al raggruppamento poesia e prosa: una
scrittrice nera. Poi Giovanna Gagliardo (Maternale): lei non
faceva parte del gruppo, ma era una scrittrice amica e affine, e questa
è una sua sceneggiatura. Poi Letizia Paolozzi (Viaggio nell'isola),
di cui abbiamo già parlato. Poi scovammo Lettere alla figlia di
Calamity Jane, che ci sembrò interessante e gli scritti di Stèphan Mallarmè,
sulla moda. Abbiamo pubblicato un inedito di Mary Shelley (Mathilda),
che fino a quel punto era famosa solo come autrice di Frankenstein,
mentre noi ne abbiamo fatto conoscere l'aura di scrittrice e donna straordinaria.
Un altro libro che sono fiera di avere pubblicato è quello sul processo
per stupro del 1612 di Artemisia Gentileschi e Agostino Tassi, su cui ora
fanno un film. Poi c'era la saggistica. Molti titoli sulla psicoanalisi.
Alcuni classici: la Stein, la Bachmann, Rosa Rosà che era una scrittrice
futurista. I libri futuristi a cura di Claudia Salaris sono tra gli ultimi
che abbiamo pubblicato…. Insomma è stato fatto molto lavoro e col passare
degli anni si è venuto affermando un discorso più letterario
rispetto a quello di movimento.
Tutto questo è durato circa sei anni, fino all'82. Eravamo passate
dall'essere quattro sprovvedute all'essere meno sprovvedute, ma completamente
senza soldi. La crisi dell'editoria incombeva su tutta l'Italia. La Rizzoli
era crollata e così la Feltrinelli, che sono poi tutte rinate dalle loro
ceneri, ma certo avevano a disposizione altri mezzi da quelli che avevamo
noi. Così siamo passate da una piccola società ad una cooperativa, e poi
ad una società a responsabilità limitata in cui abbiamo chiamato un vasto
pubblico di signore a contribuire con delle quote. Da una parte era un'espansione
concentrica dell'ipotesi iniziale che le dava corpo, ma dall'altra fu un
inferno. Così l'esperienza si chiuse. Un po' perché c'era sempre il problema
del denaro, i costi aumentavano, soprattutto quelli delle Messaggerie con
cui distribuivano. Però c'è stata anche una grossa difficoltà di rapporti
fra tutte noi, così quando non ci sono stati più soldi abbiamo chiuso. Forse
è anche per questo che non abbiamo più tanto voglia di parlarne…. O almeno
di scriverne. Perché entrano in ballo delle emozioni, un impegno viscerale
che è ben più di un impegno editoriale.
Io poi ho avuto l'impressione di averli fatti tutti materialmente questi
libri. Una delle ragioni per cui da Roma mi sono trasferita a Milano è stata
proprio questa. Facevo il lavoro di editing, seguivo i rapporti con la distribuzione,
con la tipografia. Intanto a Roma continuava a svilupparsi un pensiero sull'editoria,
mentre io ero costretta a un lavoro con i tempi di Milano, con le quarte
di copertina che andavano consegnate quattro o cinque mesi prima per la
distribuzione e da Roma mi dicevano che ne stavano ancora discutendo.
Quando poi la cosa si è allargata le complicazioni sono aumentate: c'erano
grandi raduni in cui ciascuna proponeva una cosa diversa, come succede con
la politica, e intanto io qui a Milano avevo delle scadenze diverse. L'errore
fu quello di associare all'intervento finanziario la possibilità di pesare
sulle scelte editoriali. Le quote di partecipazione erano di 250.000 lire,
perciò si può immaginare quanta gente c'era: una situazione ingovernabile.
Forse alcune (non io che avevo già speso tutto quello che avevo) avrebbero
potuto rilevare la casa editrice, ma nessuna se la sentì e forse fu un bene,
perché sarebbe stata una scelta soggetta a troppo critiche. Di fatto sulle
edizioni delle donne erano stata investite delle aspettative esagerate,
troppo emozioni esterne pesavano sulle scelte da fare. Il periodo finale
fu triste e doloroso. Ricevevamo telefonate disperate di donne che ci mandavano
manoscritti illeggibili e pretendevano di essere pubblicate, perché il vissuto
e la sofferenza avevano la precedenza su tutto.
Qui a Milano ho capito che non si può fare una distribuzione del lavoro
così allargata, così poco affidata alle competenze e troppo alla buona volontà
e all'estro. Insomma un'utopia. E forse per noi quattro era stata proprio
questo: l'utopia. D'altra parte già nel momento in cui la casa editrice
si trasformò in cooperativa Manuela e Elisabetta non aderirono. Come cooperativa
si lavorò per circa un anno e poi, come S.r.l., per altri tre o quattro
anni.
E' stata una bellissima esperienza, ho imparato
un mestiere…. Anche se, quando un mestiere lo si impara in modo così viscerale,
quando poi questo diventa un lavoro subordinato, sembra così noioso. Quando
conosci un lavoro nella sua interezza e ti metti a farlo per altri, in modo
parziale, ti senti come espropriata. E' un lavoro, appunto, mentre le edizioni
delle donne
erano un amore.
Ho una grande ammirazione per Laura Lepetit, con la sua calma, la sua mancanza
di visceralità, la sua lentezza nel procedere. Lei ha proprio avuto un approccio
diverso: intanto era sola e ha potuto fare le sue scelte, con i suoi tempi,
i suoi mezzi, senza dover rispondere a nessuno di quello che faceva. Tranquilla,
la Tartaruga faceva il suo lavoro. Si appoggiava molto al gruppo delle femministe
di Milano, mentre per noi il punto di riferimento era Roma. Dal movimento
aveva delle consulenze, delle idee, ma le sue decisioni le prendeva solo
lei. E quindi è andata avanti. Ha rallentato quando è stata in difficoltà.
Forse aveva anche delle risorse finanziarie che noi non avevamo.
C'è stato un momento, quando noi stavamo chiudendo, in cui forse si sarebbero
potuto proporre a lei le edizioni delle donne; ma non ne facemmo niente.
Si capiva che lei aveva bisogno di stare da sola e di fare le cose per bene,
coi suoi tempi e il suo rigore. Adesso la Tartaruga è di Leonardo Mondadori,
che della Mondadori non ha più nulla ed ha invece la Tartaruga, ma mi sembra
che le scelte siano ancora tutte di Laura che continua con i suoi sistemi
di sempre e lavora benissimo. E io sono molto invidiosa.
Poi ad un certo punto noi abbiamo venduto agli Editori Riuniti…. E non è
accaduto più assolutamente nulla. Non un libro è stato ristampato, niente.
E questa è stata un'altra sofferenza. Si credeva che in qualche modi si
sarebbe continuato, almeno quelle che stavano a Roma. Forse se ci avessero
detto: "Non ce ne occupiamo più, vi diamo solo i soldi", non l'avremmo venduta
a loro. Avremmo cercato qualcuno che continuasse. E' stato un dolore, Ecco
perché nessuna di noi ha voglia di mettersi a distanza di vent'anni a fare
l'Amarcord.
Sarebbe insopportabile.
(Maria Coronìa, 100 titoli. Guida ragionata al femminismo
degli anni '70, a cura di Aida Ribero e Ferdinanda Vigliani - Luciana
Tufani Editrice, Ferrara 1998)