Matrimoney:
Torniamo ai femminismi. Nel passato erano le strade dove avevano sede i vari
collettivi, ma anche le case private dove si faceva l'autocoscienza, i luoghi
di incontro tra donne. Quale era la tua mappa delle strade, dove ti portavano
i tuoi passi?
Manuela
Fraire: Le case più frequentate dal cuore? Le nostre case erano diventate
dei luoghi straordinari per via dell'autocoscienza. Poi anche via Germanico
è stato un luogo importante per me dove erano molti collettivi, tra cui
anche il "Collettivo cultura". Poi c'è stata la sede delle Edizioni delle
donne, una mia ex casa. E poi sicuramente il "Virginia
Woolf" prima al Governo Vecchio e poi al Buon Pastore e infine a via
dell'Orso, ma più recentemente perchè io sono stata in forte polemica con
il gruppo B, e Alessandra Bocchetti che conosco... Cristo! da trent'anni…
Con lei sono stata anche nel "Collettivo di via Ripetta". E' stato l'innesto
di quell'esperienza con il "Collettivo cultura" di via Germanico, con Michi
Staderini, che ha prodotto il Virginia Woolf. Al Governo Vecchio, dal '77
all'80, ho condotto un gruppo sul rapporto madre-figlia, un gruppo strano
per il femminsmo di quel periodo, nel senso che era riconosciuto che io
conducevo questo gruppo e che non c'era quindi la reciprocità
Matrimoney:
Come sei passata dall'architettura, alle stampe d'arte, al femminismo, all'editoria,
al lavoro culturale, alla scrittura, ai gruppi con le donne, all'autocoscienza,
all'analisi personale e finalmente alla professione di psicoanalista?
Manuela
Fraire: Quelle donne mi hanno autorizzata a diventare analista. Terminata
la fase dell'autocoscienza sono andata in analisi mentre continuava la mia
attività autoscoscienziale con le donne. Non era più la prima autocoscienza,
ma un'altra cosa perché non era più la sorpresa della prima volta. Le donne
con cui ho lavorato al Governo Vecchio, mi hanno autorizzata e hanno desiderato
per me che io diventassi analista
Matrimoney:
Ci racconti del gruppo che tenevi al Governo Vecchio dedicato al rapporto madre-figlia?
Manuela
Fraire: Prima ci furono le 150 ore all'Università. A quei tempi alle femministe
venivano offerte anche opportunità di carattere istituzionale e ognuna si
era scelta un tema ed io, che ne avevo scritto sui Quaderni Piacentini,
mi ero scelta come argomento "Il personale è il politico" e ne feci un corso.
Quando questo gruppo finì un consistente numero di donne chiese di non terminare
il rapporto con me e io dissi "ci dobbiamo incontrare nelle sedi delle donne
poiché non ci possiamo incontrare all'Università. Ma non dissi no! Ci incontravamo
al Governo Vecchio, non vi posso dire in che condizioni! Eravamo al buio
con le candele sedute lì, facevamo queste sedute quasi spiritiche con livelli
di transfert incredibili e io che studiavo per conto mio la sera per cercare
di capire come funzionavano le dinamiche di gruppo… Capivo che era impossibile
governarlo soltanto con l'autocoscienza. Intanto eravamo in troppe e poi
hanno cominciato ad arrivare donne molto disturbate che facevano quasi delirare
le altre. Dopo un po' di mesi presi la decisione di dire che era un gruppo
chiuso, e che c'erano regole che non potevano essere violate. La prima:
chi era in analisi non poteva partecipare al gruppo. Fu una decisione molto
importante e dirimente anche se lì per lì successe un casino! Ma io dissi
chiaramente : "..Quì non c'è un'analista all'opera. Come facciamo a governare
tutto quello che sta venendo fuori. ? Magari senza volere c'è chi è più
manipolativa perché ha un altro luogo dove elabora.e questa disparità produce
un gran disordine tra noi. Fatto sta che pur nella turbolenza la cosa fu
accettata. Siamo andate avanti per molto tempo, una volta alla settimana,
alcune di loro sono andate in analisi in seguito, alcune hanno prese altre
vie. Ho cominciato la formazione analitica nel '78, sono 21 anni! La mia
vita è cambiata totalmente perché ho incontrato me stessa e la cosa per
cui ero tagliata. Era veramente una vocazione, non perché io sia una brava
psicoanalista ma perché niente mi fa fatica di quel che c'è da fare per
la psicoanalisi. Ogni volta penso "allora c'è da capire anche questa cosa".
Con l'arte mi arrabattavo, non mi trovavo mai nel posto dove volevo essere.
Penso che per quanto riguarda la psicoanalisi alcune cose le avrei dovute
e potute fare meglio, ma penso che posso ancora apprendere.Ho trovato la
mia strada e l'ho trovata perché le donne hanno custodito il mio desiderio,
l'hanno capito prima di me. E come l'hanno capito? Chiedendomi di fare una
parte che io mai mi sarei autorizzata a fare. Questa è la mia "camera scura"
Matrimoney
: Noi abbiamo scelto un modo di comunicare quest'esperienza che è legata
molto a questa tecnologia, in cui l'incontro è virtuale, tu non ti incontri
con chi ti legge e ti ascolta. Che ne pensi di Internet e di questo modo
che si sta affermando sempre di più nel nostro modo di relazionarci in cui
il corpo è una variabile che non si sa più dov'è?
Manuela
Fraire: A me sembra, che il mezzo informatico produca un allargamento dell'orizzonte
comunicativo e che i pericoli insiti in esso, che pure sono grandi, sono
ancora minori dei vantaggi. L'idea però che la relazione diretta, a vista,
dove il corpo dell'altra è presente, possa essere sostituita dalla relazione
virtuale mi spaventa davvero molto, e mi sembra infine un modo di aggredire
anche l'iniziativa informatica. Detto questo, per esempio l'invenzione che
voi state facendo è un'invenzione molto analitica, perché voi evocate dei
fantasmi, come accade nella stanza dell'analisi, la vostra "camera scura".
I fantasmi che animano così tanto la nostra vita da farcela vedere in un
altro modo. Voi avete scelto la parola scritta su Internet, la parola scritta
è già di per sé una virtualizzazione rispetto alla parola orale. La trascrizione
dal nastro poi, lo sapete, è la fiction più fiction che c'è. Quindi potremmo
dire che utilizzare il virtuale come tappo per ostruire la depressione che
oggi colpisce il relazionale è un vero peccato perché mi sembra male e sotto
utilizzato. Detto questo, c'è un virtuale che molte di noi praticanono ed
è la scrittura che è abbandono del corpo. E credo che quel che ha scritto
Nadia Fusini su Virginia Woolf è vero. Lei dice che nella scrittura non
c'è il suono della vita, la voce emessa dal nostro corpo. D'altra parte
noi lasciamo traccia del nostro pensiero in quanto scriviamo, trascriviamo,
tracciamo segni perché il nostro corpo è caduco e non credo che basti la
memoria orale, c'è un segno che noi dobbiamo lasciare