Esame di coscienza di un letterato

"La guerra... sono otto mesi, poco più, poco meno, ch'io mi domando sotto quale pretesto mi son potuta concedere questa licenza di metter da parte tutte le altre cose e di pensare solo a quella. (...) Cosa è che cambierà su questa terra stanca, dopo che avrà bevuto il sangue di tanta strage: quando i morti e i feriti, i torturati e gli abbandonati dormiranno insieme sotto le zolle, e l'erba sopra sarà tenera, lucida nuova, piena di silenzio e di lusso al sole della primavera che è sempre la stessa?

(...) Non vedo le tracce degli uomini. Le case sono piccole e disperse come macerie; un verde opaco e muto ha uguagliato i solchi e i sentieri nella monotonia del campo: e non c'è né voce né suono se non di caligine che cresce e di cielo che s'abbassa: le lente onde di bruma sono spente dalla cenere fredda.

E la vita continua, attaccata a queste macerie, incisa in questi solchi, appiattita fra queste rughe, indistruttibile. Non si vedono gli uomini e non si sente il loro formicolare: sono piccoli perduti nello squallore della terra; è tanto tempo che ci sono, che ormai sono tutt'una cosa con la terra. I secoli si sono succeduti nei secoli; e sempre questi branchi di uomini sono rimasti nelle stesse valli, fra gli stessi monti: ognuno al suo posto, con una agitazione e un rimescolio interminabile che si è fermato sempre agli stessi confini. Popoli razze nazioni da quasi duemila anni sono accampate fra le pieghe di questa crosta indurita: flussi e riflussi, sovrapposizioni e allagamenti improvvisi hanno a volta a volta sommerso i limiti, spazzate le plaghe, sconvolto, distrutto, cambiato. Ma così poco, così brevemente. Le orme dei movimenti e dei paesaggi si sono logorate nel confuso calpestìo delle strade; e intorno, nei campi, nei solchi, fra i sassi, la vita ha continuato eguale (...) Son caduti, fuggiti gli individui: ma la vita è rimasta, irriducibile nella sua animalità istintiva e primordiale, per cui la vicenda del sole e delle stagioni ha più importanza alla fine che tutte le guerre, romori fugaci, percosse sorde che si confondono con tutto il resto del travaglio e del dolore fatale nel vivere."

(Renato Serra, La Voce, 30 aprile 1915)

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