La mia sera
- Il giorno fu pieno di
lampi;
- ma ora verranno le
stelle,
- le tacite stelle. Nei
campi
- c'é un breve gre gre
di ranelle.
- Le tremule foglie dei
pioppi
- trascorre una pioggia
leggiera.
- Nel giorno, che lampi! che
scoppi!
- Che pace, la
sera!
-
- Si devono aprire le
stelle
- nel cielo
sì
tenero e
vivo.
- Là presso le allegre
ranelle,
- singhiozza monotono un
rivo.
- Di tutto quel cupo
tumulto,
- di tutta quell'aspra
bufera,
- non resta che un dolce
singulto
- nell'umida
sera.
-
- E', quella infinita
tempesta,
- finita in un rivo
canoro.
- Dei fulmini fragili
restano
- cirri di porpora e
d'oro.
-
- O stanco dolore
riposa!
- La nube nel giorno
più nera
- fu quella che vedo
più rosa
- nell'ultima
sera.
-
- Che voli di rondini
intorno!
- che gridi nell'aria
serena!
- La fame del povero
giorno
- prolunga la garrula
cena.
- La parte, sì
piccola, i nidi
- nel giorno non l'ebbero
intera.
- Né io... e che voli,
che gridi,
- mia limpida
sera!
-
- Don... Don... E mi dicono,
Dormi!
- mi cantano, Dormi!
sussurrano,
- Dormi! bisbigliano,
Dormi!
- là voci di tenebra
azzurra...
- Mi sembrano canti di
culla,
- che fanno ch'io torni
com'era...
- sentivo
mia
madre... poi
nulla...
- sul far della
sera.
(Giovanni
Pascoli, Canti di
Castelvecchio, 1903)
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