Catullo

 

    TRADUZIONI

 

    Gaio Valerio Catullo nacque a Verona, intorno all’84 a.C. ( nel Chronicon di Girolamo troviamo infatti riportati, come anno di nascita e di morte, rispettivamente, l’87 e il 58, tuttavia altre testimonianze fanno spostare di qualche anno tutte e due le date ). La sua famiglia era con tutta probabilità facoltosa, dal momento che sappiamo che disponeva di una villa a Sirmione, sul lago di Garda, un luogo del resto molto caro al nostro poeta, che lascia trasparire il suo affetto per tale località nell’incipit del carme 31: Paene insularum, Sirmio, insularumque / ocelle, “Sirmione, occhio delle penisole e delle isole”. 

    I proconsoli della Gallia Q. Metello Celere e Giulio Cesare furono ospitati in varie occasioni dal padre del poeta, come ancora possiamo desumere dai ripetuti accenni che Catullo rivolge loro dai suoi carmina, con epitteti a volte al limite dell'insulto, che ben rivelano la familiarità con questi altolocati personaggi della scena politica romana. Certamente Catullo ebbe un'istruzione e gli esordi della sua attività poetica si possono scorgere già negli anni della giovinezza trascorsia Verona, prima di trasferirsi a Roma quando aveva circa 20 anni. A Roma fu introdotto nel circolo dei poetae novi forse da altri scrittori provenienti anch'essi dalla provincia - ma queste sono solo congetture che possiamo desumere dalle somiglianze del comune sentire poetico di questa cerchia di intellettuali -, e frequentò una donna che si trovava ad essere ben nota negli ambienti mondani e politici, chiamata da Catullo con lo pseudonimo di Lesbia, in memoria della poetessa greca Saffo. L’amore per Lesbia diede un tratto indelebile alla vita ed all'esperienza poetica ed artistica tutta di Catullo. 

 

Le rovine della Villa di Catullo a Sirmione

 

    A lungo si è dibattuta la questione dell'identità della donna amata dal poeta, Lesbia: allo stato attuale delle nostre conoscenze l’ipotesi più accreditata, grazie ad un’osservazione di Apuleio – sempre da quella fonte inestimabile di preziose osservazioni che è il suo De magia -, è che Lesbia sia stata Clodia, figlia di Appio Claudio Pulcro e sorella di P. Clodio Pulcro, noto esponente del partito dei democratici, ucciso da Milone in un agguato nel 52 ( Milone in questa occasione fu difeso per l’accusa di omicidio dallo stesso Cicerone, con un'orazione tanto celebre quanto "falsa", perchè il testo che ci è pervenuto è in realtà una riedizione a posteriori, curata dallo stesso Cicerone, visibilmente insoddisfatto del discorso che ebbe a tenere "dal vivo", tutto tremante, dopo che era stato portato alla tribuna degli oratori in una portantina con le tende tutte tirate per la paura che lo pervadeva - lo si può facilmente perdonare, se solo si immagina la terribile tensione che doveva pervadere quei giorni convulsi a Roma, dove l'ordine delle cose sembrava poter essere rovesciato da un'ora con l'altra ). Il marito di Clodia era stato - se riteniamo attendibile questa versione -  Q. Metello Celere, console nel 60 e morto l’anno successivo. Se l’identificazione Lesbia - Clodia è da accettare come detto, il ritratto di questa donna ci viene fornito da Cicerone nell’orazione Pro Caelio e di certo non è molto edificante.

   Stabilito che Celio era difeso da Cicerone dall’accusa di aver preteso del denaro da Clodia e di aver tentato addirittura di avvelenarla, la figura da lui delineata è decisamente molto negativa, anzi, senza esitazione possiamo dire che l'abilità retorica di Cicerone - sicuramente senza pari a quei tempi - riesce a rovesciare l'accusa originariamente volta nei confronti dell'imputato che egli si premurava di difendere in una serrata giaculatoria contro Clodia, che l'arpinate non esita a definire una scostumata senza pari, non solo meretrice, anzi sfrenata meretrice, "non solum meretrix, sed etiam proterva meretrix" ( Cic. Pro Caelio, XX, 49 ). Tuttavia non è difficile immaginare che il processo - dati i tempi, i modi e le circostanze storiche - ebbe un ruolo più pubblico e politico che strettamente privato. 

    A Roma Catullo ebbe occasione di venire in contatto con artisti ed intellettuali come lui ( fra tutti Cinna, Calvo, Cornelio Nepote, Gaio Memmio, Ortensio Ortalo ) ed uomini politici, come Cicerone, al quale è rivolto il carme 49, la cui interpretazione ha tuttavia suscitato più di una perplessità. Il tema dei rapporti con altre persone, sovente in termini che possiamo definire certamente molto conflittuali, è per così dire una costante dei suoi carmina: Catullo sembra dividere in una sorta di visione manicheista, il mondo in bianco e nero, tra i sodales, cioè gli amici e compagni fraterni, e gli avversari di ogni genere, sulla sfera personale quanto politica, cui non risparmia accuse infamanti e veri colpi bassi. I politici, gli opportunisti, i faccendieri, gli ipocriti e i poeti improvvisatori sono attaccati attraverso espressioni d’impronta satirica, nelle quali si possono scorgere le influenze dei grandi capostipiti del genere, Archiloco ed Ipponatte, e della satira romana di Lucilio. In quest'ottica, potremmo reinterpretare il proclamato "disimpegno" politico dei poetae novi come una programmatica rottura ( sia sul piano poetico che su quello più strettamente politico ) verso una situazione preesistente. Verso il 60 morì il fratello di Catullo nella Troade.: il nostro poeta ebbe poi a visitare la sua tomba in occasione del viaggio in Bitinia – al seguito della Cohors amicorum - del pretore Gaio Memmio, il dedicatario del De rerum natura di Lucrezio: si tratta dell’unico riscontro cronologico sicuro nella biografia di Catullo, dal momento che la magistratura di Memmio si svolse dal 57 al 56. A partire da quel momento trascorsero, fino alla morte, alcuni anni contrassegnati - per quanto ci è possibile ricostruire attraverso la lettura dei sui carmina - da rari momenti di riconciliazione con Lesbia, dal sollievo offerto dagli amici sinceri e dai luoghi del riposo e del ricordo, come l'amatissima Sirmione. Catullo si spense giovane, all’età di trent’anni, intorno all’anno 54 a.C.