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Dalla terra al CAD
di Antonino Saggio
Per farsi capire
dalle manovalanze, Brunelleschi costruiva continuamente dei modelli quando ’’con
terra molle, quando con ciera, quando con legnami, e in vero lo servivano molto
quelle rape grandi, che vengono la vernata in mercato, che si chiamano calcioni,
a fare i modegli piccoli ed a mostrare loro’’. (Giorgio Vasari)
Praticamente tutti i modelli rimasti del Quattrocento e del Cinquecento italiano
sono stati esposti nella mostra sul ’’Rinascimento da Brunelleschi a
Michelangelo’’ a Palazzo Grassi.
La dodicesima esposizione organizzata dall’istituzione culturale della Fiat a
Venezia, è stata la prima ad avere come oggetto l’architettura: un comitato
scientifico formato da sedici esperti internazionali coordinati da Henry Millon
e Vittorio Magnago Lampugnani presenta un periodo dei più fondamentali dell’arte
del costruire. L’intento è scientifico e didattico a un tempo. Diffondere nuove
acquisizioni, ma anche stimolare all’approfondimento il grande pubblico.
Circa cento anni racchiudono l’arco temporale della mostra che si apre e si
chiude con due geni, due città, due capolavori: Filippo Brunelleschi (morto nel
1446) e Michelangelo Buonarroti (che esattamente un secolo dopo ha l’incarico
della fabbrica di San Pietro). La cupola di Santa Maria del Fiore a Firenze e
quella di San Pietro a Roma sono pietre miliari della storia mondiale
dell’architettura che non dovrebbero tradire le attese del mezzo milione di
persone che visiteranno la mostra.
L’esposizione ha ricostruito l’intero quadro storico e artistico che ha portato
all’affermazione del Rinascimento italiano, il ’’nuovo stile’’ che segna una
frattura con il medioevo. Nei primi decenni del Quattrocento, Brunelleschi
rivoluziona la concezione dello spazio. Per la prima volta al centro
dell’architettura vi è l’uomo (non l’Olimpo greco, il potere romano, il Dio
medievale). I pittori, gli scultori e gli architetti danno forma a uno spazio
misurabile e dominabile razionalmente. La prospettiva è l’invenzione scientifica
che organizza questa concezione, l’uso degli elementi normalizzati desunti
dall’antichità (il capitello, la colonna, la lesena, l’arco a tutto sesto
eccetera) lo strumento di misura.
Ma se dalla Cupola di Santa Maria del Fiore, dal San Lorenzo o dal Santo Spirito
passiamo alla Biblioteca Laurenziana, al Campidoglio o alla Cupola al Vaticano
scopriamo che in cento anni una nuova rivoluzione si è compiuta.
Uomo della temperie controriformistica, Michelangelo sostituisce alla serena
sicurezza dell’umanesimo fiorentino, il dramma. La rivoluzione copernicana ha
collocato fuori dal globo terreste il fulcro del cosmo, Lutero ha esploso la
compattezza della costruzione cattolica con uno scisma, Machiavelli ha
teorizzato la ’’doppia morale’’ in politica, il mondo non si ferma più a
Gibilterra ma si apre su nuove impreviste frontiere. La prospettiva (simbolo di
un mondo unitario e controllabile anche dal punto di vista religioso e
filosofico) si smarrisce nelle deformazioni degli ordini, nelle tensioni tra i
volumi distinti, nelle articolazioni trapezie degli invasi. È quello che Arnold
Hauser chiama perdita del centro, la condizione manierista della modernità.
La cupola di San Pietro conclude così l’umanesimo rinascimentale e inaugura
l’incertezza del contemporaneo con la sua inevitabile tensione al molteplice, al
contraddittorio, al non finito.
Una mostra di architettura parte da una condizione di svantaggio rispetto ad una
di storia, di pittura o di scultura. Quando l’architettura è nelle sale di una
galleria, il pubblico può solo leggerne lo spartito. A questo svantaggio i
curatori hanno risposto offrendo una serie numerosa di materiali di supporto.
Non solo disegni, video, pitture (tra l’altro le famose tavole della città
ideale conservate a Urbino) ma soprattutto trenta plastici che conservati da
quell’epoca vengono a costituire il piatto forte dell’esposizione.
Immediata è la suggestione già all’entrata: nell’atrio si colloca il modello di
Antonio da San Gallo il giovane per San Pietro (1539-46), mentre, sospeso sullo
scalone d’onore si trova il modello della cupola di San Pietro di Buonarroti.
Michelangelo sovrasta San Gallo: una evidente allegoria ricercata da Mario
Bellini curatore dell’allestimento per evidenziare lo scontro tra la tormentata
creatività dell’uno e il normativo professionismo dell’altro.
Il restauro del modello di San Pietro del 1539, portato a termine da esperti
guidati da Pierluigi Stevan in ben 90.000 ore lavorative, rappresenta una grande
acquisizione. Si trovava in stato di avanzato degrado, ma oggi questa micro
architettura che occupa una superficie di circa 45 metri quadri ed è alta
quattro metri e mezzo consente al visitatore di penetrare all’interno e di
studiare lo spazio insieme ai più minuti elementi decorativi.
I modelli di architettura nel Rinascimento servivano a una varietà di scopi:
alcuni erano destinati ai clienti per ottenerne l’approvazione sia se l’incarico
era già stato formalizzato, sia se essi venivano realizzate per gare tra
artisti. Il modello doveva simulare l’effetto dell’opera anche attraverso alcuni
’’sottili aggiustamenti’’, come ricorda Millon nel suo saggio nel catalogo
Bompiani. Il modello del San Gallo per esempio omette il piedritto alla base
della cupola, una evidente infedeltà costruttiva resa necessaria per rendere
fedele l’effetto spaziale per chi penetrava nel modello. Ma oltre a questo ruolo
di presentazione i modelli erano utilizzati per lo studio del progetto, per
sondare delle alternative sostituendo delle parti, per sperimentare il processo
costruttivo, per organizzare il cantiere, per parlare con le manovalanze come
faceva Brunelleschi comprando le rape al mercato e poi incidendole.
Ma considerazioni più rivolte all’oggi sono suggerite da questa mostra. Esistono
architetti che creano le loro strutture direttamente in tre dimensioni con un
processo simile a quello degli scultori Il disegno, che per alcuni rimane lo
strumento fondamentale per concatenare razionalmente le decisioni, per
progettisti come Frank Gehry o i Morphosis è solo strumento di raffigurazione e
di verifica a posteriori. Ma un’altra considerazione nasce quando si pensa ai
molteplici significati che proprio la parola modello condensa (ben nove secondo
lo Zingarelli). Oltre a rappresentazione in scala ridotta di strutture edilizie,
modello è anche l’esemplare perfetto da imitare. Ecco allora che per tutta la
mostra veneziana aleggia San Pietro in Montorio di Bramante, il piccolo
tempietto a pianta circolare che siede in un cortile del Gianicolo a Roma.
Modello di perfezione irraggiungibile, (tanto è vero che il perfetto emisfero
della sua cupola non poté venire riprodotta nella costruzione ogivale di San
Pietro), ma anche modello per la sua ridotta scala (è pochi metri più alto del
modello di San Gallo).
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Ma un significato attuale della parola modello che segna tutta la nostra
distanza dal Rinascimento è quello di ’’schema teorico elaborato in diverse
scienze e discipline per rappresentare gli elementi fondamentali di uno o più
fenomeni’’ (modello statistico, modello economico eccetera).
A prima vista si tratta di un significato estraneo all’arte, ma che è diventato
di grandissima attualità per gli architetti attraverso l’informatica.
Grazie al calcolatore oggi si possono ottenerne in un unico modello elettronico
tutte le caratteristiche inseguite degli architetti rinascimentali (ammaliare un
cliente, studiare le fasi della costruzione, produrre grafici di spiegazione per
il cantiere, esplorare l’oggetto in movimento, simulare la luce e le ombre, le
perdite termiche o le strutture). Ma è anche possibile avere quello che gli
antichi non potevano neanche immaginare.
I dati contenuti nella raffigurazione elettronica di un progetto non sono più
rigidi (come nei supporti tradizionali) ma sono facilmente modificabili. E non
soltanto nella loro singolarità, ma nelle loro relazioni di insieme. (Cambiare
lo spessore di un muro in un modello elettronico comporta la verifica simultanea
sul costo, sui valori termici, sulla penetrazione della luce, sull’immagine
interna ed esterna proprio perché il parametro ’’spessore’’ può essere legato
interattivamente a molti altri).
Gli elaborati che descrivono un progetto tendono così a essere organizzati
proprio nella accezione scientifica del termine modello. La verifica dei
risultati può essere compiute più e più volte attribuendo dei valori specifici
(che poi sono le ipotesi di progetto) alle incognite. Questa potenzialità spinge
il progettista a usare il modello elettronico non solo per raffigurare, decidere
e descrivere, ma come una struttura aperta che di volta in volta simuli il
comportamento del sistema-edificio al variare delle ipotesi e degli obiettivi.
Non è di per sé garanzia di buona architettura, ma fornisce una possibilità di
dialogo con clienti e i collaboratori che Michelangelo non aveva. In ogni caso
per il lavoro di progettazione degli architetti si tratta della più importante
conquista scientifica dopo l’invenzione della prospettiva.
Antonino Saggio
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