Tema dell'assenza (dal deserto alla guerra)

Ciò che dai critici letterari viene definito il "tema dell'assenza" aveva in Ungaretti un terreno fertile: assente dall'Italia fino a 24 anni, vissuto in una natura assente (il deserto, il porto sepolto), tra compagni che vivono l' "assenza", come gli emigrati anarchici ospitati dalla sua famiglia. Tutto ciò ritrova una continuità nel paesaggio desolato del Carso e nell'assenza che la guerra determina (assenza di individui, che muoiono, assenza di valori, assenza di vita...).

La continuità tra i due paesaggi, benché diversi tra loro (Deserto e Carso), la continuità delle situazioni (emigrazione in Egitto e guerra intesa come allontamento dalla vita e dalle radici), è un motivo autobiografico di estrema importanza per comprendere Ungaretti. E questo tema andrebbe indagato a fondo. Invece la critica letteraria ha generalmente spostato l'accento più sugli aspetti formali ed estetici.

In diverse liriche de L'Allegria sono presenti immagini che riportano al vuoto della vita, all'assenza.

Per esempio: "non batte più il tempo col cuore/non ha tempo né luogo" (Annientamento); "morire come le allodole assetate sul miraggio" (Agonia); "Il mio supplizio/ è quando/ non mi credo/ in armonia" (I fiumi); si veda anche San Martino del Carso, o il "neanche le tombe resistono molto" (Ricordo D'Africa).

Certamente questa tematica del "negativo", dell'"assenza", del "vuoto"non è una negazione del presente, del valore degli oggetti della vita stessa di Ungaretti. Al contrario, si tratta di affermarne la forza ed il valore, proprio partendo dalla loro mancanza, dalla loro negazione.

Alcune correnti di critica letteraria, invece, hanno capovolto il significato di questo attaccamento alla vita per trovarvi una esaltazione del vuoto, fine a se stessa (oppure solo a fini stilistici).

E' ciò che pensa Ossola quando scrive:

"l'ideologia complessiva dell'Allegria, lungi dall'esprimere - come spesso si è detto - immediatezza, urgere nel verso dell'impeto biografico, è già ben radicata nella denegazione del presente, per reduplicarlo nell'assenza mitopoietica, per sfondarne i confini: nessuna conoscenza aggiuntiva, nessun progetto formula Ungaretti attraverso il suo 'dire', che non sia la ricerca, la sete d'includervi, nel vocabolo, il massimo d'assenza, d'indicibile." (Ossola, Ungaretti, Mursia, 1974, pag. 125.)

Sempre secondo Ossola, successivamente nel Sentimento del tempo, invece, Ungaretti si rivolgerebbe al 'mito' come tentativo di recuperare dei valori che la dialettica dell'assenza non può riprendere (il nulla distrugge, non costruisce). Si noti comunue che Ossola parla in termini espliciti della mancanza di "impeto biografico". Il che è, quantomeno, una assurdità.

Al contrario, se è vero che la tematica dell'assenza spinge Ungaretti a 'negare' la realtà dapprima e cercare di superarla poi (Sentimento del tempo), è altrettanto vero che questa problematica ha un aggancio biografico ben reale, non è campata in aria:

"un compagno/massacrato/con la bocca digrignata"
e, sempre in Veglia, consideriamo anche il finale:
"Non sono mai stato/tanto/attaccato alla vita".
Anche nello stesso San Martino del Carso:
"e' il mio cuore/il paese più straziato"

indicano elementi ben reali, ben fondati sul presente: una condanna ed una denuncia proprio di quell' "assenza" che la guerra provoca.

La critica riconduce questa relativizzazione del tempo e quindi questa "presenza dell'assenza", alle teorie di Bergson. Tuttavia Ungaretti incontra Bergson non tanto sul piano del contenuto, a nostro parere, quanto maggiormente su quello dello stile, dell'artifizio, per esaltare meglio un contenuto assai concreto.

Ancora una volta quindi possiamo concludere che i temi autobiografici, siano di gran lunga preponderanti su quelli stilistici e questa ci sembra la chiave determinante per comprendere Ungaretti.

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